Ieri, tornando dalla spiaggia, ho avuto la fortuna di trovare uno dei rari autobus che passano da queste parti; ho caricato il mio potente mezzo sul comodo porta-bici attaccato al muso del bus, ho pagato il biglietto e mi sono guardata intorno. Ero l'unica bianca. Tutti i miei compagni di viaggio, per lo più donne afro-americane, tornavano dai grandi alberghi di lusso di South Beach dopo l'ennesima usurante domenica di lavoro.
Da quando sono qui l'impressione è che il grande modello americano di integrazione sia un po' un falso mito, almeno da queste parti. Bianchi coi bianchi, neri coi neri, latinos con latinos, ebrei ortodossi (una comunità enorme a Miami) con ebrei ortodossi. Di coppie miste credo di averne viste (non conosciute, ma solo viste) due in più di venti giorni. Appena sono arrivata la mia famiglia mi ha ingiunto si stare attenta perchè "nonostante il nostro sia un ottimo quartiere, qui vicino il neighborhood è black...". La scuola pubblica della figlia maggiore è nella zona di little havana, la più latina di questa città dove il 60% delle persone parla, comunque, come prima lingua lo spagnolo, ma la bambina non frequenta nessuno dei suoi compagni al di fuori del contesto scolastico. Solo vicini di casa (quelli bianchi) o figli di amici.
Le comunità non hanno momenti o opportunità di dialogo. Gli ispano e gli afro-americani di solito lavorano per i bianchi. La relazione finisce qui.
Ma non è solo una questione di posizione sociale; la differenziazione etnica si pone come problema trasversale, al di là delle barriere di "classe: i ricchi neri stanno coi neri, e i poveri bianchi stanno coi bianchi, per intenderci.
Ovunque ci sono scritte in inglese, in spagnolo e addirittura in creolo; anche questi clivages linguistici non aiutano.
Guardando le cose da questa prospettiva si capisce davvero perchè Barack Obama rappresenti una novità reale. Certo, le cose non si cambiano con la bacchetta magica; queste divisioni sono ormai cristallizzate e solide e non basterà un presidente di colore per attenuarle. Ma sarebbe un riconoscimento importante che andrebbe ben oltre il mese della "black history" in corso in questo momento o il posto dedicato a Rosa Parks sugli autobus...
Al di là di queste considerazioni, che oltre un certo limite nuociono gravemente alla salute, ieri sera mi sono goduta tre ore e mezzo di Grammy Awards: su questo non c'è niente da dire amici, Americans do it better!
E' stata davvero una serata esaltante, fra commemorazioni di vecchi grandi artisti, performance di nuovi e duetti inimmaginabili; chi avrebbe mai messo l'apparentemente cattivissimo kid rock a cantare, e bene, con la settantacinquenne prima vincitrice di un grammy 50 anni fa? Dove la trovi Tina Turner che a 200 anni canta e balla insieme a Beyoncé divertendosi ancora come una ragazzina fasciata da un'imbarazzante tutina argentata? O Alicia Keys che duetta con l'ologramma di Frank Sinatra? O Aretha, la grande, infinita, meravigliosa Aretha che si esibisce con un meraviglioso coro gospel? E la mitica Amy Winehouse che canta via satellite perchè non le hanno dato il visto, ma poi si cucca tutti i premi più importanti (sottolineo che io l'ho scoperta quando ancora non la conosceva nessuno...ehm!)??? O Kanye West con la lacrimuccia mentre rappa la canzone per la mamma morta?
Una vera festa della musica (non solo pop e commerciale, ma anche black, jazz, indie, rock, country e chi più ne ha più ne metta), del glamour e anche della kitscheria americana che si è conclusa nel più bel modo, ovvero con un finale completamente inaspettato visto che il premio per il miglior album dell'anno, invece di andare alla già titolatissima Amy o a qualche sgallettato artista da classifica, è stato assegnato al compositore e musicista jazz Herbie Hancock che, con le sue misere 40000 copie vendute, tutto si aspettava meno che ricevere questo riconoscimento! E invece...
Baci e abbracci diffusi a tutti
Benni
1 commento:
Questione criminalità come è li a Miami?
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