martedì, aprile 17, 2007

pensieri di morte

La strage che ha insanguinato ieri un campus della Virginia fa rabbrividire: 32 miei coetanei ammazzati così, a sangue freddo, senza avere il tempo di rendersene conto, solo per il fatto di essere lì, in quel momento, in quel luogo, in quella circostanza.

Ieri alcuni amici americani mi hanno spiegato che dopo la tragedia di Columbine, dopo il grande furore emotivo, la grande commozione, il documentario di M. Moore, le polemiche, le inchieste ecc. ecc. la legislazione statunitense riguardante il possesso di armi non è cambiata di una virgola.

La prima connessione che fa il mio cervello anche alla luce del film su Truman Capote visto di recente, è la persistenza in quella che molti definiscono la più grande e importante e solida e matura democrazia del mondo della pena di morte. La morte inflitta dallo Stato. La morte "giusta". La morte come redenzione. La morte come unica rivincita.

E allora mi chiedo se sia davvero così incomprensibile quello che è successo ieri in quell'università; mi chiedo se una società che avalla la morte come strumento per eseguire la giustizia possa davvero stupirsi davanti alla follia di un ragazzo che attraverso la morte sua e di più di trenta suoi compagni credeva probabilmente di eseguire la sua di giustizia.
Mi chiedo soprattutto se, nel caso che quel ragazzo non si fosse suicidato, ma fosse stato arrestato e processato, i genitori dei suoi coetanei uccisi si sarebbero sentiti "soddisfatti", o quantomeno rassicurati, o quantomeno minimamente consolati, dal vederlo finire nel Braccio della Morte.

Inutile dire che, se così fosse, la mia fiducia nel genere umano, già provata dalle quotidiane torture, guerre, umiliazioni, ingiustizie che ci passano di continuo sotto il naso, toccherebbe i minimi storici.

Nessuno tocchi Caino.

Baci e abbracci diffusi
Benni